lunedì 2 settembre 2013

Esperienze personali

Mentre mi facevo fare il mio primo tatuaggio, oltre a ripetermi il vecchio cliché "non si torna indietro", sentivo un'intensa forma di felicità. Prendevo possesso del mio corpo in maniera definitiva, lo rendevo più affine all'idea che ne avevo, sentivo il piacevole peso della scelta che stavo concretizzando. E anche quel dolore ha avuto per me un significato profondo, è stato un momento di passaggio, mi ha fortificato, ha fatto si che fossi pronto a vivere le conseguenze di quel segno indelebile.

Si è trattato di un tatuaggio molto esteso e in una zona visibile. Lavoravo, e lavoro ancora, in un ufficio molto conformato, nella pubblica amministrazione, nessun contatto col pubblico ma in cui girano sempre le stesse tipologie di persona, dove l'apparenza conta più di quello che fai, e prevedevo problemi. In realtà finora non ce ne sono stati di insormontabili. Voci, tiri mancini, giudizi, ma sempre alle spalle ed io li ho ignorati, al punto che a quel primo tatuaggio se ne sono aggiunti altri e in più alcuni piercing al viso. Qualche donna avanti con gli anni rimane a fissarmi alla macchinetta del caffè e qualcuno sembra stupirsi dei miei modi gentili. Dentro di me non è cambiato nulla, sono sempre la stessa persona e tale resterò anche se dovessi un giorno essere ricoperto di inchiostro dalla testa ai piedi. Rifuggivo gli stereotipi ieri, continuo semplicemente a farlo.

Quello che sento cambiato è il rapporto che ho col mio corpo, come se mi fossi avvicinato maggiormente all'immagine ancestrale che ho di me stesso. No, non sono una persona particolarmente spirituale, ma ho vissuto, in questi due anni di inchiostro, la netta sensazione che non stavo apportando qualcosa al mio corpo, bensì stavo riportando alla luce qualcosa che era già in me, materialisticamente possiamo parlare di un desiderio, ma è qualcosa di molto meno razionale. Spesso mentre dormo mi sogno con dei tatuaggi al viso. So che sono io, so che è il mio desiderio, ma so anche che quei segni sono già dentro di me, da qualche parte e che devo lottare per ricavarmi un posto nel mondo in cui possano venire tranquillamente alla luce.

Non so esattamente quale sia il problema della nostra società riguardo alla modificazione corporea, faccio seriamente fatica a capire perché la gente abbia bisogno di fare l'associazione modificato-pericolo. Il tatuaggio un tempo veniva fatto sulla pelle di criminali, in deplorevoli situazioni igieniche, dal primo che ti capitava? Sembra essere questa l'immagine più comune per quanto a sua volta un pregiudizio. Bene, anche assumendola come veritiera, oggi se vuoi un lavoro fatto bene lo paghi migliaia di euro, lo fai in uno studio che sfiora l'asetticità di una sala operatoria, presso un artista fatto e finito. Quindi, che senso ha aggrapparsi a vecchie paure? Che senso ha fermarsi all'evidenza di una persona tatuata senza valutare tutto il resto? Capacità lavorative, modi, educazione?

Io nel mio piccolo non nascondo nulla, i miei tatuaggi sono evidenti, i miei piercing anche. Mi faccio valere come persona e me ne frego del resto. Se ti do fastidio allo sguardo, girati pure dall'altra parte, non ho necessità della tua attenzione. E questo ha portato i suoi effetti positivi, nel mio ufficio c'è stato un fiorire di inchiostri, sia nuovi, ogni tanto vedo qualche linea fresca sulle braccia di qualcuno, sia vecchi, prima portati coperti e ora in bella vista. Qualche giorno fa ho accompagnato un mio collega da un piercer a fare il suo secondo microdermal, al collo, il suo primo visibile anche in versione "tutto coperto".
Una signora una volta nell'autobus mi ha detto "Oggi voi giovani vi conciate così, è la moda". In primis gli ho risposto che non sono più giovane e poi, che tipo di moda ci può essere collegata ad un segno che ti resterà per tutta la vita? Lei è rimasta interdetta. Quando sarò vecchio spero di veder invecchiata ogni parte di me, compresi i miei tatuaggi e magari di aver fatto qualcosa perché siano ben visti, questo mi basta.