martedì 2 luglio 2013

La Magia del Tatuaggio



Fino a 500 anni fa circa un migliaio di culture indigene erano dedite alla pratica del tatuaggio, culture di cui purtroppo oggi non rimane molto. Una linea di comunione tra di esse sembra essere la pratica dello Sciamanesimo, probabilmente la più antica forma di spiritualità umana. Essa viene alimentata dal mistero e dalla magia, concetti astratti, ma anche da elementi più pragmatici come la caccia, il raccolto e la necessità, molto umana, di razionalizzare il fatto che gli uomini per sopravvivere debbano uccidere altri esseri viventi come piante e animali. Nella mitologia sciamanica infatti troviamo patti tra l'uomo e il suo ambiente vitale insieme alla convinzione che ogni vita sia dotata di una propria forza spirituale.

Spesso colui che effettuava il tatuaggio era un guaritore della tribù e operava a cavallo tra il reale e il soprannaturale per restituire parti dell'anima perduta dai propri "pazienti", situazione a cui erano imputati la maggior parte dei mali. Il simbolo del lukut (antico cordone) era tatuato sul polso ad esempio per legare l'anima al legittimo portatore garantendogli così buona salute. Legacci, tatuati o sotto forma di oggetti, venivano apposti nei pressi di occasionali ferite o di arti (come le mani per chi riteneva le mani particolarmente preziose per la propria attività) affinché fosse pagato tributo agli spiriti per preservarli.  Spesso i trattamenti includevano la meticolosa applicazione di tatuaggi medici, in particolare su certi punti del corpo al fine di mascherare l'identità del malato alle entità maligne. Analogamente esistevano tatuaggi propiziatori, come quelli che venivano applicati alle guance femminili e simbolo di fertilità, o la marcatura della fronte di uomini e donne a simboleggiare il collegamento coi loro poteri ancestrali. In tutti questi casi si operava non solo una inscrizione, ma anche una reiscrizione della superficie di alcune parti del corpo. Il potere non era soltanto nel disegno ma anche nelle sostanze utilizzate che venivano considerate portatrici di poteri magici in quanto temute dagli spiriti maligni. Il tutto attraverso la figura dello sciamano e dei suoi oggetti che divenivano strumenti attraverso cui i poteri magici e di guarigione erano in grado di operare nel mondo degli uomini.

Si ritrovano strumenti da tatuaggio tra i più svariati e tipici delle diverse etnie a seconda che esse si dedicassero alla raccolta, alla pesca o alla caccia. Presso le Filippine o Taiwan venivano utilizzate le spine dell'albero di limone o arance, mentre in Polinesia venivano utilizzate ossa di animali. Nell'Africa sud-sahariana il tatuaggio consisteva in un taglio nella carne viva effettuato con strumenti di ferro successivamente strofinato con pigmenti composti per lo più da carbonio e ricavati dalla pianta di ricino. Nel Nord America erano utilizzati strumenti di ispirazione giapponese ma in scala, ogni strumento utilizzato era intagliato con la forma di un animale il cui spirito si riteneva che conferisse con l'utilizzo potere al tatuaggio. Nelle Amazzoni era preferita una certa varietà di spine di palma, mentre tra le etnie precolombiane si utilizzavano ossa di animali o frammenti di conchiglia tenuti insieme con filamenti vegetali. Anche le sostanze pigmentate utilizzate erano tra le più varie e alle spalle del loro utilizzo c'era spesso uno studio riguardo le sostanze naturali più adatte alla marchiatura indelebile. Nelle zone dello Yupiget e del Chukchi il nerofumo faceva da pigmento principale e si riteneva che allontanasse gli spiriti. Tuttavia si è utilizzata anche un tipo di grafite, la tagneghli, ottenuta mediante baratto dalle zone siberiane, e che si riteneva salvaguardasse da spiriti maligni e dalle malattie da loro portate, sui bambini in particolare li salvaguardava nel caso di morti da poco avvenute nei villaggi. Spesso questi pigmenti venivano miscelati con l'urina perché proveniente dalla vescica, un organo creduto sede principale dell'energia che da vitalità all'anima.

Monaci buddhisti di Thailandia, Cambogia, Myanmar e Laos utilizzavano strumenti somiglianti a due spiedi di metallo con una spaccatura di circa due centimetri all'estremità che formasse delle punte. In Thailandia ogni tatuaggio era apposto da un maestro chiamato Arjan. Gli inchiostri utilizzati venivano da ricette personali e si pensa avessero doti di protezione a causa della presenza di ingredienti insoliti e magici. Ad esempio erano utilizzati il sandalo e l'olio di sesamo bianco, oli estratti da animali selvatici come l'elefante, la tigre, l'orso, dal veleno del cobra o dal grasso di cadavere. Alcuni estraevano piccole esfoliazioni dal proprio stesso corpo per mescolarle al pigmento e così si riteneva che nei confronti del tatuato chiunque si sarebbe comportato istintivamente con la stessa reverenza usata in presenza di un monaco.

Per migliaia di anni il tatuaggio non ha avuto quindi solo uno scopo visivo, bensì è stato un mezzo attraverso cui gli esseri umani, la natura e il mondo soprannaturale venivano uniti in un complesso intreccio. Il tatuaggio diveniva simbolo attraverso cui l'uomo si distaccava dal qui ed ora per accedere a nuove forme di comprensione di sé e del mondo circostante.

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